Domanda:
Per favore, aiuuutoo!!!! STORIA!!?
Raffy.C
2010-03-12 07:46:06 UTC
Answerini, per favore ho bisogno di voi!!!
Devo fare un progetto di storia e mi servono informazioni sui pro e sui contro riguardo la Spedizione dei 1000!!! è importante e mi serve il + presto possibile.
EVITATE I COMMENTI STUPIDI E NON INERENTI, POICHè NON MI SERVONO.
GRAZIE IN ANTICIPO
Tre risposte:
anonymous
2010-03-12 07:49:59 UTC
La spedizione dei Mille è un passaggio obbligato per capire la storia dello Stato unitario italiano, e molti ritengono che abbia avuto la sua influenza su fenomeni come il brigantaggio, lo squilibrio nord-sud e la cosiddetta "Questione meridionale".



Molti ritengono che la spedizione dei Mille sia stata narrata in modo "agiografico", dalla storiografia tradizionale. Ciò, in particolare, a fronte della damnatio memoriae che toccò alla dinastia borbonica e al brigantaggio che arrivò ad impegnare fino a 140.000 soldati del nuovo Regno d'Italia[1]: nell'iconografia tradizionale, la discussa figura di Garibaldi assume facilmente le sembianze dell'eroe che combatte e vince contro un esercito ben più numeroso, mentre i tanti “briganti” che in seguito combatterono contro un ben più organizzato esercito piemontese ebbero il torto di essere perdenti. Insomma il mito di Garibaldi sarebbe stato funzionale agli assetti di potere vincenti.



Lo storico inglese Mack Smith ne "I re d'Italia", con riferimento al periodo storico che comincia dall'unità d'Italia (1861) scrive: "La documentazione di cui disponiamo è tendenziosa e comunque inadeguata. ... gli storici hanno dovuto essere reticenti e, in alcuni casi, restare soggetti a censura o imporsi un'autocensura"[2]. Critici di simile prestigio sostengono che ancora oggi, a 150 anni di distanza da quegli avvenimenti, regna una cortina fumogena di disinformazione e negazione.



Dibattito politico [modifica]

La principale linea di dibattito è rappresentata dal ruolo dei garibaldini come puntelli delle strutture sociali arretrate che caratterizzavano il Regno delle Due Sicilie, emblematicamente rappresentate dal baronato.



La maggior parte dei latifondisti del Meridione non opposero alcuna resistenza attiva all'impresa dei Mille, una volta verificato che la struttura esistente della proprietà terriera non veniva toccata. Come sintetizzato dalla famosa frase del romanzo Il gattopardo: "Tutto deve cambiare affinché non cambi niente". Alcuni contadini siciliani si unirono invece alla spedizione contando in una distribuzione di terre demaniali a chi le lavorava. Le tragiche conseguenze si videro quando il generale Nino Bixio ebbe l'ordine di reprimere nel sangue la pretese dei contadini, con un esempio particolare alla strage di Bronte il 4 agosto 1860. Certamente, la mancata redistribuzione della terra costituì una delle tante ragioni alla base del cosiddetto brigantaggio che di fatto va inquadrato come una guerra civile di resistenza partigiana e non come un banale fenomeno delinquenziale.



Al 'tradimento' dei nobili, viene associato il tradimento degli ufficiali. Non è chiaro l'intreccio tra Cavour, inglesi e esercito borbonico, ma è certo che interi reparti rinunciarono a combattere, benché buona parte dell'armata di terra abbia servito il proprio sovrano fino all'ultima battaglia.



Una questione concerne i vantaggi che lo stato sabaudo, con le sue finanze disastrate dalle numerose campagne militari, avrebbe ricevuto dalla floridità economica del Regno delle due Sicilie: taluni sostengono che la conquista del Regno delle due Sicilie sia stata 'economicamente provvidenziale'. Una tesi sostenuta da una vasta letteratura, con argomenti documentali e materiali, dei quali il più spesso citato è la costruzione della prima ferrovia in Italia: la Napoli-Portici.



La questione dell'appoggio inglese [modifica]

Un'altra linea concerne l'appoggio del governo britannico alla spedizione.



Esso viene motivato da molti studiosi (tra cui Lorenzo Del Boca[3]) con la necessità di spuntare condizioni economiche migliori per lo zolfo di produzione siciliana, di cui le navi a vapore inglesi facevano largo consumo. Lo zolfo era un elemento essenziale nella lavorazione dell'acciaio, oltre ad essere un additivo del carbone combustibile, ed era un protagonista collegato alla Seconda Rivoluzione Industriale, del carbone e dell'acciaio.



Alcune navi da guerra di Lord Palmerston incrociavano il largo di Marsala, il giorno dello sbarco dei Mille. Lo sbarco si sarebbe risolto in un disastro "alla Pisacane" se, ancorati ai bassi fondali davanti a quel porto, non si fossero trovati due vascelli inglesi, l’Argus e l’Intrepid.



Alcuni storici, basandosi su lettere e documenti di Cavour, sostengono che gran parte del comando dell'esercito borbonico fosse interessato a rimanere "reticente" nel contrastare i Mille nella loro avanzata. Parecchi ufficiali infatti avevano stretti legami con gli inglesi.



In generale queste osservazioni rispondono alla domanda di come mai abbiano potuto 1.000 armati irregolari, ancorché raggiunti da rinforzi, sgominare un esercito molto più numeroso, meglio armato ed addestrato che agiva dalle sue basi principali, in mezzo ad una popolazione amica.
?
2010-03-12 15:55:19 UTC
il 6 maggio 1860, i vapori Lombardo e Piemonte presero il largo da Quarto alla volta di Marsala (vedi cartina ) , comandati da Garibaldi e con a bordo i così detti Mille "tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni, con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto" come affermò lo stesso Garibaldi il 5 dicembre 1861 in un discorso nel Parlamento di Torino. I Mille non erano un gruppo di goliardi patrioti ed improvvisati rivoluzionari ma, per la gran parte, veterani delle campagne del 1848-49 e del 1859, con folta la rappresentanza straniera di inglesi, ungheresi, polacchi, turchi e tedeschi. Scopo dichiarato della missione era la sollevazione delle terre meridionali e la loro liberazione dalla tirannia borbonica.



L'invasione della Sicilia riuscì grazie all'appoggio del Piemonte (apertamente spalleggiato da Inghilterra e Francia). Nulla avrebbero potuto 1000 uomini contro i 25 mila soldati perfettamente equipaggiati dell'esercito meridionale stanziati in Sicilia, senza considerare gli altri 75 mila presenti nel Sud continentale. Lo stesso Garibaldi, si rese conto del problema ed esitò a lungo nell'accettare il comando della spedizione perché temeva di far la fine dei fratelli Bandiera che avevano tentato in passato delle sortite simili, fallite miseramente e pagate col loro sangue.



"Era una bellissima giornata, il sole splendeva e il mare era liscio come l'olio (...) due vapori a ruota [il Piemonte e il Lombardo], che erano stati visti incrociare al largo durante gran parte della mattinata, alle tredici mossero rapidamente verso la spiaggia e, giunti nei pressi di questa, inalberarono i colori sardi". Lo sbarco delle "camicie rosse" era già compiuto dal Piemonte e in parte dal Lombardo, quando arrivarono le navi napoletane e le navi inglesi. Garibaldi ammise nelle sue memorie che fu decisivo il contributo dei Britannici per la riuscita dello sbarco. In meno di due mesi conquistarono l’isola, con l’appoggio di bande contadine locali in parte scese in campo per ragioni di natura sociale ma soprattutto desiderose di sottrarsi al governo napoletano e di godere di maggiore autonomia. Ad agosto Garibaldi, assunta la dittatura in nome di Vittorio Emanuele, marciò verso l’interno con i suoi Mille, che rivestivano l’ormai leggendaria camicia rossa, rinforzati da "picciotti" cioè dai giovani contadini e braccianti che speravano in una riforma agraria che una volta per tutte eliminasse tanti soprusi ed ingiustizie, attraversarono lo Stretto di Messina e cominciarono a risalire verso Napoli. Cavour, infine, si rendeva perfettamente conto della gravità della situazione; egli era consapevole che tra le file garibaldine i democratici ed i repubblicani erano molto forti e decisi a realizzare riforme sociali non congeniali alla monarchia sabauda, come l’assegnazione di terre ai combattenti meridionali e lo scorporo del latifondo anche a danno degli ordini religiosi. Temeva anche, a ragione, che l'invasione garibaldina del Lazio, oltre a suscitare in tutta la penisola un’ondata di entusiasmo democratico e anticlericale, avrebbe indotto l’imperatore francese a intervenire con le armi. Ancora una volta fu abilissimo a trasformare in vantaggio la propria debolezza: ancora una volta seppe agire abilmente su Napoleone date anche le sue notevoli difficoltà sul fronte prussiano. Prospettatogli lo spettro della formazione di una repubblica mazziniana e anticlericale nell’Italia centro meridionale, lo stesso imperatore sollecitò il Cavour a fare intervenire l’esercito regolare piemontese, che penetrò nelle Marche e batté l’esercito papale, che tentava di sbarrargli il passaggio.



Il giorno 21 ottobre 1860 era stato indetto, a Napoli e in tutto il sud continentale, il plebiscito a suffragio universale maschile, per ratificare l’annessione al Piemonte del Regno delle Due Sicilie.



L'incontro del 26 ottobre, nei pressi di Teano, tra Garibaldi e Vittorio Emanuele poneva fine alla spedizione di Garibaldi e di fatto assicurava alla dinastia sabauda il Regno delle due Sicilie. Il 17 marzo il nuovo Parlamento italiano riunito a Torino poteva ratificare l’avvenuta unificazione, attribuendo a Vittorio Emanuele II il titolo di "re d’Italia"; il 26 marzo il Parlamento approvava un voto solenne che auspicava Roma capitale d’Italia. Il processo unitario era praticamente compiuto, anche se il Lazio e le Venezie rimanevano escluse.



Le truppe garibaldine, non furono incorporate nell’esercito regolare, come era stato richiesto, e il re si rifiutò perfino di passarle in rivista. In conseguenza di questo atteggiamento, Garibaldi, deluso , si ritirò a Caprera
anonymous
2010-03-12 15:49:42 UTC
La spedizione dei Mille e l'unità d'Italia



In Italia nella primavera del 1860 la situazione politica era molto fluida e lo stesso Cavour cominciava a pensare alla possibilità di un’unificazione della penisola. Le difficoltà erano tuttavia ancora notevoli perché la Francia non avrebbe accettato un attacco piemontese contro lo Stato Pontificio e il Regno Borbonico, quest’ultimo difeso sul piano diplomatico anche dalla Russia; l’Austria, dal canto suo, avrebbe potuto approfittare di ogni passo falso per reinserirsi nel gioco politico italiano.

Ma il problema più grave consisteva nel fatto che l’armistizio di Villafranca e la cessione alla Francia di Nizza e della Savoia avevano screditato la politica sabauda presso l’opinione italiana, per cui nella primavera del ’60 sembrava più facile una iniziativa democratico-repubblicana, che trovava il suo centro nel "partito d’azione" il quale aveva il vantaggio di poter agire al di fuori di ogni impedimento diplomatico e contava sull’enorme popolarità di Garibaldi.

Il "partito d'azione" non era un gruppo omogeneo di persone che avevano le stesse finalità e idealità politiche; era un organismo di agitazione e propaganda cui facevano capo sia i repubblicani mazziniani sia i democratici decisi all’azione come Pisacane e Garibaldi.

A dare l’avvio a una ripresa rivoluzionaria furono gli eventi siciliani quando, contro il giovane e inesperto sovrano Francesco II, nell’aprile del ’60 esplose l’ennesima rivolta a Palermo. Il partito d’azione convinse Garibaldi ad agire direttamente in Sicilia, anche perché Vittorio Emanuele, era disposto ad aiutare i volontari, contro il parere di Cavour il quale, come primo ministro, non poteva compromettersi specialmente agli occhi di Napoleone. Dal canto suo il Mazzini esortava tutti ad agire concordemente al fine di realizzare l’unità della penisola.

Garibaldi ai primi di maggio del ’60 passava all’azione con i suoi Mille volontari.

Partiti da Genova, dopo una breve tappa nel porticciolo di Talamone, dove una piccola colonna lasciò Garibaldi per marciare direttamente su Roma, la spedizione raggiunse per mare la Sicilia occidentale e l’11 maggio sbarcò a Marsala. Garibaldi, assunta la dittatura in nome di Vittorio Emanuele, marciò verso l’interno con i suoi Mille, che rivestivano l’ormai leggendaria camicia rossa, rinforzati da "picciotti" cioè dai giovani contadini e braccianti che speravano in una riforma agraria che una volta per tutte eliminasse tanti soprusi ed ingiustizie.

In seguito l’entusiasmo dei contadini che miravano a impossessarsi delle terre demaniali, promesse dallo stesso Garibaldi, fu deluso perché Garibaldi e i politici della sinistra garibaldina e mazziniana volevano il successo militare della spedizione. Tra la fine di giugno e di luglio il generale, per il successo della spedizione, cominciò a stringere rapporti con i grandi proprietari terrieri, i quali, perché non cambiasse niente per loro, erano disposti ad assumere atteggiamenti liberali e favorevoli a Casa Savoia. I contadini cominciarono a guardare con diffidenza alla politica di Garibaldi, soprattutto dopo che i garibaldini repressero i moti rurali, anche quando i contadini, in perfetta legalità, richiedevano la divisione dei terreni demaniali a suo tempo promessi dal "generale".

Battuti i borbonici nella difficile battaglia di Calatafimi, il 15 maggio Garibaldi occupava Palermo e nel luglio batteva ancora le truppe regie a Milazzo, mentre il sovrano di Napoli tentava disperatamente di fermarlo, concedendo una tardiva Costituzione e affidando il governo a Liborio Romano. Una speranza vana e una fiducia mal riposta: il Romano, d’accordo con Cavour cercò di provocare in Napoli un moto di moderati monarchici, allo scopo di precedere Garibaldi alla liberazione del napoletano. Intanto Garibaldi, superato lo stretto di Messina, risaliva liberamente la Calabria mentre l’esercito borbonico si disfaceva e il 7 settembre entrava in Napoli; Francesco II si rifugiava allora a Gaeta, protetta ancora da una parte del suo esercito, nonstante il "tradimento" di buona parte dell'ufficialità.

Praticamente l’Italia meridionale era libera, nonostante attorno a Gaeta si raccogliessero ancora forti contingenti di truppe borboniche e le piazzeforti di Civitella del Tronto e di Messina non si fossero arrese. Era il momento di prendere decisioni definitive, che avrebbero pesato sul destino di tutta la penisola.

Mazzini che aveva raggiunto Garibaldi a Napoli premeva perché si evitasse il solito plebiscito a favore della monarchia sabauda e insisteva sul progetto di una "Assemblea Costituente" che decidesse del nuovo assetto da dare all’Italia, anche se egli avvertiva chiaramente che ormai il principio monarchico aveva avuto partita vinta. Garibaldi dal canto suo, pensava di risalire con le truppe verso Nord per raggiungere Roma e di lì proclamare l’Unità d’Italia.

Il Cavour, infine, si rendeva perfettamente conto della gravità della situazione; egli era consapevole che tra


Questo contenuto è stato originariamente pubblicato su Y! Answers, un sito di domande e risposte chiuso nel 2021.
Loading...