Più di quattrocento morti in due giorni e centinaia di sfollati. E’ l’ultimo bilancio degli scontri interreligiosi scoppiati lo scorso venerdì nella città di Jos, nella Nigeria centrale, tra musulmani e cristiani, a séguito dei contestati risultati di un’elezione locale. Dal 1999, anno del ritorno del potere ai civili, le crisi religiose hanno provocato migliaia di morti, avvelenando i rapporti tra le varie comunità della Nigeria centro settentrionale. Ma dietro agli scontri ci sono anche motivazioni più profonde? Panorama.it l’ha chiesto a Nankin Bagudu, direttore della Lega per i Diritti Umani di Jos.
Quali sono le principali motivazioni degli scontri di venerdì?
La religione è sicuramente stato un fattore importante. La Nigeria centrale è una zona dove convivono numerosi gruppi etnici. Nella stessa Jos, che è a maggioranza musulmana perché abitata principalmente da Hausa-Fulani, ci sono altre comunità come gli Igbo e gli Yoruba, di tradizione cristiana.
All’inizio, però, agli scontri è stata data una motivazione politica: dispute tra due partiti su chi avesse vinto le elezioni locali
In alcune zone della Nigeria, la religione è sentita in maniera particolarmente forte, e le dispute religiose servono da catalizzatore anche per altri problemi, di carattere economico e politico. Ma stavolta gli incidenti sono cominciati ancora prima che i risultati fossero resi noti. E’ evidente che qualcuno ha colto l’occasione per fomentare i disordini, indipendentemente dal risultato delle urne.
Quindi gli scontri che funestano periodicamente la Nigeria non hanno solo un carattere religioso
No, certamente. Ci sono molti fattori che li favoriscono, primo fra tutti il sistema politico nigeriano. Da noi chi viene eletto ottiene dei privilegi enormi, gestisce le risorse economiche e i bilanci come vuole, senza alcun controllo. Per questo le cariche politiche sono così appetite, e partiti e candidati sono disposti a tutto pur di vincere.
Anche a scatenare scontri che provocano centinaia di vittime?
Esattamente. In Nigeria la povertà è molto diffusa, e non ci vuole niente a reclutare giovani disoccupati per poco più di cento dollari perché fomentino i disordini.
Il presidente Yar’Adua sta facendo abbastanza per risolvere il problema?
Non penso che l’attuale governo abbia le capacità per risolvere una questione così complessa, che richiede interventi su più fronti. Al momento, le nostre istituzioni sono molto deboli.
Quale sarebbe la ricetta per risolvere il problema degli rapporti etnico-religiosi?
Prima di tutto ridurre la povertà , assicurarsi che i responsabili delle violenze paghino per le proprie azioni e non favorire l’impunità , come accade ora. In questo modo si eliminerebbe quel corto circuito tra politica e religione che ha provocato tanti danni a questo Paese.