Domanda:
HELP ME...RIASSUNTO ITALIANO!!!?
gax
2008-10-07 13:22:47 UTC
VI PREGO RIASSUNTO E' URGENTE E STO IMPAZZENDO:
-IL VECCHIO CAPO MSHLANGA di DORIS LESSING
-IL LAVORO CHE AVREBBE VOLUTO FARE di FRANCESCO PICCOLO.
-BUONO DA MORIRE di BULBUL SHARMA
VI PREGO SE LI CONOSCETE SCRIVETEMI!!!
RINGRAZIO IN ANTICIPO!
E DO 10 PUNTI
Due risposte:
anonymous
2008-10-07 13:32:12 UTC
1)L'attuale Zimbabwe, dove Doris Lessing trascorse l'infanzia e l'adolescenza quando questa regione faceva parte dell'impero britannico. Le vicende si svolgono in anni in cui la questione razziale, non ancora esplosiva, incomincia ad affacciarsi alla coscienza dei figli e dei nipoti dei primi coloni inglesi: emblematico è il racconto intitolato "Il vecchio Capo Mshlanga", in cui una ragazza inglese nata e cresciuta sotto 'l'antico sole africano' si rende conto, a poco a poco, dell'infondatezza dei pregiudizi dei bianchi e scopre l'insopportabile solitudine alla quale ella stessa è condannata dalla barriera razziale. Vi sono racconti in cui è centrale il dramma dei neri, defraudati dalle terre e costretti ad assistere impotenti alla disgregazione del loro mondo tribale. e ve ne sono altri in cui è messa a fuoco l'insicurezza serpeggiante tra i bianchi.



2)Starnone è un po’ il suo padre letterario, poichè è stato proprio grazie a un’intervista che lo scrittore di Labilità ha rilasciato a questo bravissimo autore casertano, quando quest’ultimo lavorava per la minimum fax – anzi insieme alla minimum fax, di cui era redattore –, è stato proprio grazie all’incoraggiamento di Starnone, che Piccolo ha cominciato la sua carriera di scrittore.

Un giorno, Starnone ha letto un racconto di Piccolo, gli è piaciuto, e poi ne ha letto un altro, e lo ha trovato ancora più bello. Allora, gli ha detto, Ma lo sai che sei proprio bravo?.

E così è cominciato tutto.

Eppure, io sono convinta che Starnone non abbia stilato un giudizio favorevole al libro di Piccolo perché lo conosceva. E ne sono convinta sia perché conosco l’estrema professionalità, serietà, e in alcuni casi severità (ma severità competente, mi viene da dire) di Domenico Starnone, sia perché la critica dello scrittore di Ex Cattedra a questa raccolta è quanto di più calzante si potesse esprimere.

In effetti, Piccolo guarda molto più lontano di noi. Guarda più in fondo, con più proprietà. E anche con molta più curiosità ed entusiasmo. È come un monaco shaolin che, fracassando un mattone con la mano, si concentri così tanto da non provare alcun dolore. È come un medico di frontiera, che metta a repentaglio la propria stessa vita per salvare quella degli altri. È come un ricercatore meticoloso e preparato, che guardi oltre le solite convenzioni e le consuete limitazioni, e scopra, per esempio, un nuovo sito archeologico laddove avevano cercato in molti. È come uno studioso di Alessandro Manzoni che oggi, a quasi duecento anni dalla prima pubblicazione dei Promessi Sposi, abbia ancora il coraggio di scoprire, nella figura del narratore di questa meravigliosa storia, due diversi sguardi, due voci ben distinte – quella dell’editore-narratore, e quella del Manzoni stesso.

Dal punto di vista linguistico, è come se Piccolo scrivesse, per la prima volta nella storia, il tavolo è sotto il telefono, e non il contrario, come fanno tutte le lingue del mondo. Si tratta di punti di vista, o meglio, di messe a fuoco e primi piani. Piccolo vede il telefono sul tavolo, come tutti noi, ma, a differenza di molti di noi, distingue anche il tavolo sotto il telefono, e, cosa ancor più importante, tutto quello che c’è intorno.

È questo, l’effetto che mi fa ogni volta Piccolo, poco più che trentenne all’epoca della prima pubblicazione di Storie di primogeniti e figli unici. A primo acchito, la sua mi parrebbe una mano ottuagenaria, per quanto questo libro si rivela, man mano che lo si legge, pregno di fatti e di letteratura, attento e insieme fresco, vibrante e passionale, carnale – come si dice a Napoli, e forse anche a Caserta -, ma precisamente, profondamente meditato.

Con ciò voglio dire che Piccolo non solo sa scrivere – anzi sapeva già scrivere dieci anni fa –, ma sa anche cosa scrivere. E fa una scrittura che non è solo bella da leggere, che non è solo interessante, o affabulatoria, ma che possiede un fondo, un motore, quasi psico-filosofico. Non moralista, badate bene, ma cogitativo. In qualche modo, gli scritti di Piccolo insegnano a pensare, a guardare il dito e la luna, a rivalutare l’importanza dei gesti di tutti i giorni, a sentirsi alienati, oppure parte di una comunità, a riflettere sul passare delle stagioni, sia fisiche che mentali, a cercare ben oltre la facciata. Non solo al di sotto, ma anche al di sopra della superficie dell’acqua, fin su nel cielo. A non guardare solo la luna. Ma nemmeno soltanto il dito:



[…] tanto ormai si poteva dire tutto, e diceva tutto, ma pur continuando a guardare il poster, e nel poster quel dito, e la luna, anche la luna è chiaro, e più del dito per carità, pur non dovendo temere più nulla visto che aveva ormai a casa un gran numero di libri in una libreria che non riusciva più nemmeno a contenerli tutti […]



Il tutto, come si vede, raccontato con un lieve tocco umoristico indefessamente seminato per l’intera la raccolta, spruzzato sull’intero testo senza parsimonia, ma anche senza eccessi, come polvere magica sparpagliata in giro per il mondo dalla manina sapiente di Trilly, la Campanellino di Peter Pan. Perché tutti, ma proprio tutti, imparino a volare.

Ogni racconto della raccolta non è solo un racconto. Alcuni, come Dal lato della strada, La maglia numero undici, Santino, o Per terre assai lontane (si notino, inoltre, i titoli dei racconti, semplici, diretti, per certi versi elementari, titoli che costituiscono, secondo me, un altro pregio di questa raccolta, poiché svolgono esclusivamente la funzione che un titolo, per sua natura, per sua derivazione etimologica, deve svolgere, e cioè quella di dare un’idea del contenuto e della qualità di ciò che andiamo a leggere, e non altro), alcuni racconti, dicevo, possiedono chiaramente un doppio valore – quello letterario di raccontare una bella storia, una storia interessante, ben scritta, appassionata, coinvolgente; e quello metaforico, che ci permette di carpire, attraverso una scrittura per azioni, anche un senso più profondo, appunto metaforico, del tutto, in una sorta di indagine molto puntuale sulla vita. Altri racconti, come Il portiere del condominio, Ombrelli, Le estati del rancore, o Il lavoro che avrebbe voluto fare, possiedono invece un valore quasi esclusivamente allegorico. Cioè, a mio avviso, vogliono comunicare una sensazione, una specifica coscienza legata a una precisa stagione della vita, o a tutte, e, invece di farlo, come dire, mediante un discorso filologico, o filosofico, o sociologico, usano, appunto, un fatto esemplare, a partire dal quale poi sia il lettore stesso a decidere se intraprendere o meno il proprio percorso di indagine personale.

Voglio dire, per esempio, che in Ombrelli la storia raccontata è molto semplice. C’è un ragazzo del sud che, piovendo troppo poco nella sua città, dimentica con cocciuta sistematicità l’ombrello fuori casa. Poiché sua madre, puntualmente, lo ostracizza per questa sua terribile mancanza, un giorno il ragazzo – stremato dalla propria continua inettitudine, dai propri regolari fallimenti – decide di non usare mai più alcun ombrello e, nonostante odi la sensazione dei vestiti bagnati addosso, pure, per tutta la vita, da quel giorno in poi non ne fa uso mai più. Il brano fondamentale di questo racconto, a mio avviso, è il seguente:



E finalmente sentivo la rabbia, mi dicevo: la prossima volta. La prossima volta gliela farò vedere io. La prossima volta che piove – che poi era inutile fare propositi per la prossima volta. Succedeva che non pioveva per chissà quanto. E tra una volta e l’altra avevi il tempo di dimenticare i propositi, la rabbia, e cosa volevi fare la prossima volta. Avevi il tempo di dimenticare quanto ti eri bagnato.



E cioè. Nella vita, alcuni errori, anzi meglio alcune consuetudini, ci sono consone per natura, ci appartengono quasi per diritto di nascita. E nonostante ogni volta queste consuetudini, quando si tratta di errori socialmente riconosciuti, non ci facciano piacere; e nonostante queste consuetudini si mettano fra noi e la vita, ci infastidiscano talmente, pure, non possiamo fare altro che dire, la prossima volta sarà diverso. Ma la prossima volta non è mai diverso, perché siamo uomini, e tendiamo a dimenticare immediatamente anche le cose più terribili, e a volte è anche un bene, che le dimentichiamo, perché se facessimo tesoro, ogni volta, di tutto il male che ci accade, non vivremmo più, saremmo degli eterni paurosi, traumatizzati anche dal tuono e dalla pioggia. E allora, in un senso quasi pirandelliano, la questione dell’ombrello diventa un argomento enorme, un’indagine vera e propria sulla natura umana, una faccenda che il lettore può lasciare lì dov’è, tra pagina 77 e 89, oppure portarla con sé per la vita intera. E dico intera veramente, perché non c’è un giorno della nostra vita in cui non ci imbattiamo in questo nostro vivere inconsapevolmente, a volte irresponsabilmente, e comunque un po’ superficialmente dei precisi avvenimenti quotidiani. Questo accade a tutti, anche ai più precisi, anche ai più severi. Accade a tutti ma nessuno, o quasi nessuno, ci riflette su. Se invece, anche grazie a questo racconto, cominciamo a ragionarci, un poco tutti i giorni, chissà quali nuovi orizzonti ci sarà permesso di conoscere.

Poi c’è un racconto che, volutamente, non ho incluso nelle due liste appena stilate. Ed è un racconto che, prima di tutto, possiede un carattere particolare, ma, in più, ha un valore, secondo me, ancora più alto di tutti gli altri racconti. Ed è il racconto intitolato Quando il dito indica la luna, che non può non appassionarmi in prima persona, perché, tra l’altro, è anche un’intensa, dolcissima, devotissima dichiarazione d’amore alla lettura. E alla scrittura, naturalmente. E all’amore più in generale.

Si tratta di un racconto che apparentem
maxino
2008-10-07 20:37:45 UTC
Il vecchio Capo Mshlanga: una bambina inglese cresce in Africa educata con le favole nordiche, da ragazza, dopo essere stata colpita dal carisma di un vecchio capotribù, si rende conto che i bianchi si stanno privando con la loro separazione di importanti conoscenze


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